lunedì 1 ottobre 2012

"Questione di aromi"


Fuori un clima da primavera inoltrata, accentuata da una leggera afa anticipatrice di un’estate prossima all’  arrivo.
Dentro, un tavolo di legno semplice, sopra, alcune cose appoggiate disordinatamente, una tazzina da caffè, un taccuino, un libro di narrativa e un posacenere colmo di mozziconi.
Dante poggiava i gomiti sulla superficie liscia, si teneva la testa tra le mani, i palmi aperti a sostenere il mento, guardava fuori dalla finestra con lo sguardo lanciato oltre ad un imprecisato punto del paesaggio e una leggera malinconia tra i pensieri.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette e ne estrasse una, la portò alle labbra e la accese, tirò una prima ampia boccata e lasciò uscire il fumo piano, osservandolo contorcersi e avvitarsi in aria.
Sarà stato il caldo o l’avvicinarsi della bella stagione forse, ma il suo umore era tinto dall’ insoddisfazione, non sapeva nemmeno lui spiegarsi il perché, non trovava un valido motivo in fondo; per quel che lo riguardava da vicino non aveva nulla di cui lamentarsi, certo che se però si teneva conto dell’ attuale situazione mondiale di motivi invece se ne trovano eccome, o per lo meno per Dante era così, ma in quella giornata era riuscito a lasciare fuori tutti i dispiaceri per i quali su due piedi non poteva avere soluzione.
Sarà che a volte il quotidiano sembra svuotarsi di ogni concretezza, di ogni piccolezza, d’un tratto, all’improvviso, la spensieratezza che si dovrebbe avere di norma dentro se ne va lasciando posto ad una sgradevole quanto non ben consapevole apatia.
Ecco era proprio quello il suo stato d’animo, le cose della terra non lo interessavano ma nemmeno quelle del cielo, semplicemente era infastidito e nauseato da tutto senza che questo tutto lo avesse in alcun modo oltraggiato, un’ involontaria presa di posizione rispetto al mondo, come quando in una incomprensione tra amanti, uno dei due risentitosi del comportamento dell’altro comunica la propria disapprovazione con una ben manifesta insofferenza.
Amelia entrò nella stanza portando con sé aroma d’arancia e cannella, fresco ma un po’ troppo speziato per l’umore di Dante che la accolse con un freddo:
-Che profumo di merda ti sei messa?-
La ragazza conoscendolo bene capì immediatamente lo stato d’animo del ragazzo e cercò di aggirare l’affondo rispondendo con un candido:
-Ne ho messo uno con il quale ero sicura di irritarti ancora di più di quello che già sembri- e si diresse verso la moka per prendersi del caffè freddo, sicura di trovarne visto che Dante non lo beveva che caldo.
Gli si avvicinò e gli carezzò i capelli, lasciando che la mano sensibilizzasse bene la sua cute, c’era molto affetto in quel semplice gesto e lui se ne accorse, vergognandosi un po’ per il burbero trattamento con cui l’aveva salutata.
-Scusami- le disse –non volevo essere così cafone, ma oggi è uno di quei giorni in cui non so che mi prende, tutto mi fa schifo e senza un perché-
-non preoccuparti tesoro, ho capito come sei fatto e oggi sei fortunato, non sono dell’umore adatto per prendermela, ti sopporterò-
-Non capisco come tu faccia ad essere sempre così comprensiva nei mie riguardi, devi proprio volermi bene, io al tuo posto mi sarei già preso a schiaffi se non peggio-
-Sono fatta così, è più forte di me, ma non mi ringrazierei così tanto se fossi in te, se ci rifletti un momento noterai che anche tu spesso mi sopporti come io faccio con te, l’unica differenza è che io mi chiudo in un mutismo serrato mentre tu aggredisci gl’ altri, anche il silenzio richiede una certa dose di pazienza, credimi- e prese a sorseggiare lentamente il suo caffè, come se in quel gesto vi fosse risposto chissà quale benefico influsso da maneggiare con doveroso rispetto.
La osservò assaporare quell’ infuso amaro e notò quanto fosse bella, i capelli castani le incorniciavano il volto mettendo in risalto le sue labbra rosse melograno, gl’ occhi castani abbassati sulla tazzina, semi chiusi, completamente abbandonata dentro sé stessa.
Era seduta su una sedia davanti a lui, a pochi centimetri sul tavolo il taccuino dove Dante ero solito scrivere quello che gli passava per la testa, poesie o semplici considerazioni su qualcosa, la guardò e le disse:
-Aprilo, leggi una pagina a caso, per favore-
Amelia rispose al suo sguardo e appoggiò la tazza, prese in mano il libricino nero e lo fissò per qualche secondo, come se stesse osservando qualcosa di prezioso e allo stesso tempo pericoloso.
-non mi hai mai permesso di leggere nulla, come mai proprio adesso mi chiedi di farlo?-
-non lo so, so solo che mi farebbe piacere se adesso tu leggessi qualcosa che ho scritto e poi mi dessi un parere-
-non so se sono in grado di poterti aiutare con un mio giudizio-
-non importa, tu leggi e poi dimmi che ne pensi, ok?- e le sorrise.

mercoledì 13 giugno 2012

L'ultimo giorno di luna



“L’ultimo giorno di luna”

L’ho vista, la strega
dagli occhi bianchi,
nera d’amore e
rossa di pianti,
stringeva due rose
altari di malasorte,
ha indicato l’infinito
oltre i miei sospiri,
si è voltata lasciandomi
ieri e domani.

È tornata la strega,
con in bocca il rimorso
in petto la perdita,
mi ha guardato, offrendomi
conforto, con sguardo sicuro
come sempre solita fare;
Con il capo chinato,
in consensuale silenzio,
remissiva e compassionevole
della mia cilicea impotenza.

domenica 15 aprile 2012

"Bla bla"

Gli vomitò addosso tutto ciò che di più dispregiativo gli venne in mente, non si risparmiò nella sua offensiva, colpì ogni singolo punto in cui sapeva avrebbe fatto più male, voleva lasciare evidenti segni della sua aggressività, aveva la necessità di restituire tutto il dolore raccolto nel corso della sua giovane vita, non era importante che la sua vittima non avesse alcun ruolo nel suo percorso di disperazione, così come casualmente si era sentito lui per primo bersaglio di un destino troppo crudele a sua volta doveva trasformarsi in quella stessa forza aleatoria e meschina da cui si era sentito colpito.
L’attacco è la migliore difesa si dice, ma tutto questo restituire cose che non si desideravano non fa che rinnovare questo assurdo circolo di pugnalate al cuore, non riesco a trovare una minima traccia di sensatezza in tutto ciò, è certo che chi cerca di evitare questa sciocca imposizione si ritrova ad essere più facilmente bersaglio e a torto, non è facile intestardirsi nel non essere opportunista ed egoista come qualcuno o qualcosa ha deciso si debba essere ma a primo impatto sembra essere l’unico modo per resistere veramente, per non perdere quello che di più autentico si possiede di sé, chi si sente vittima e trova in questo ogni giustificazione al proprio agire perché si sente incompreso od incomprensibile si condanna automaticamente ad essere boia di sé stesso, non c’è tiranno peggiore di quello che ritrova nella propria sofferenza il giusto metro di giustizia per tutto.

sabato 14 aprile 2012

"Rifinire"

Lucia guardava fuori dalla finestra, ripensava alla canzone che il maestro di canto le aveva dato da imparare, era dolce e leggera, aveva un vago sentore Bohemienne, raccontava di una giovane ragazza e del suo cuore sul punto di fiorire in un nuovo amore, erano parole delicate le sue, il loro aroma era lo stesso dei fiori di pesco quando sbocciano in primavera, quanto sole in quel tiepido sentimento. C’era però una cosa strana che filtrava sia dal testo che dalla musica, sul finire della canzone le tinte si facevano un po’ più scure, come se tutto d’un tratto qualcosa di esterno intervenisse in quell’atmosfera ovattata, l’ombra di un passato che ancora non ha detto addio al presente, l’anonimo ricordo di un amore finito, era lì dietro, senza che mai si svelasse apertamente.
Che ironia, la canzone sembrava appartenerle, o forse era lei che era sua, ma questo non era importante, la cosa che più la sorprendeva era il perché le fosse stata assegnata, si rifiutava di pensare che fosse solo un caso, certe cose si sa, risultano più interessanti quando sembra siano ordite da sconosciute volontà superiori.
Ma fortunatamente per lei dietro l’assegnazione di quella canzone non c’era nulla di più che semplice casualità, come spesso accade quando la testa viaggia per conto proprio e non tiene conto del normale incedere delle cose, voleva trovare un senso di corrispondenza universale a quello che le stava capitando ma tralasciava il fatto che in realtà, il pezzo, si adattava perfettamente alle sue doti canore.
In tutta la faccenda c’era però qualcosa di non assolutamente casuale, ma non riguardava Lucia, bensì Francesco, il suo maestro, che nonostante vivesse più o meno la stessa situazione , era bloccato sull’ultima parte della canzone, quella parte finale esprimeva perfettamente la sua reticenza alla possibilità presente di ricominciare con qualcun’altro, il ricordo di lei lo faceva desistere dal lasciarsi andare totalmente; la cosa che più lo sconvolgeva era la tenue speranza che dentro di sé sentiva non volerlo abbandonare, anche quando l’aveva vista in compagnia di un altro e nei suoi occhi non aveva visto che luce, i segni evidenti di una conversione ad un'altra confessione, il suo amore non riusciva a desistere del tutto.
Eppure Lucia era così felice con Riccardo, lui aveva il potere di farla sentire libera, non si risparmiava in nulla, neanche nel peggio di sé, si fidava ciecamente, ma dentro di sé sentiva qualcosa mancare, un po’ di complicità forse, ma sapeva che il suo vuoto era dettato dall’abitudine di giorni divenuti poi anni del suo precedente condividersi, doveva solo avere pazienza, ne era consapevole.
Francesco le aveva assegnato si quel testo perché nelle sue corde, ma lo aveva fatto anche con la speranza che lei ripensasse a loro, a quello che erano stati e che nonostante il suo cuore fosse ormai altrove ritrovasse la strada per quel qualcosa che era sempre stato suo.
Si era allontanato da Lucia per la troppa paura, i vigliacchi si sa, più si intestardiscono e più si coprono gli occhi, ignorano tutto ciò che non è costantemente provato, quando basterebbe ognuno trovare sé stesso e tutte le volte venirsi ad incontrare senza l’angoscia di potersi perdere.

lunedì 20 febbraio 2012

Ad un amico

"Ad un amico"

L’amicizia è un sentimento
sfaccettato, colora e cancella,
divide ed unisce, a volte
si assottiglia, ma è la vita,
a volte è affilato
colpisce basso senza pietà,
ma è come l’amore quand’è
vero, ha alti e bassi,
si apre e si chiude come
gl’occhi abbagliati dal
sole, ma sempre là sta,
non finisce con la luna nuova,
né con la pioggia,
c’è ma a volte si nasconde,
possiamo essere noi
a mettere la mano in fronte,
oppure chi ci sta davanti,
l’importante è ricordare
di essere insieme, se non
con il corpo con la mente,
allontanarsi non è perdersi,
tradirsi è dimenticarsi,
cambiare è dovuto,
rinnegare è ingiusto.
Quello che infine conta
ha le dimensioni di
un niente, come qualcosa
di non detto, ma che si
sa di stringere in petto.

domenica 12 febbraio 2012

Non a passi di re

"Non a passi di re"

Il calore dell’inverno non
risiede nella sua presenza,
nonostante costringa
a stringersi un po’ più vicini,
non è la vicinanza
al dolce tepore del fuoco,
non è la lentezza che dona
ad ogni movenza,
è qualcosa di più caldo
è qualcosa di più eterno,
è il sentire ancora mille
primavere fiorire
sotto la coltre di neve.

mercoledì 1 febbraio 2012

La strega e la mela

“La strega e la mela”

Sin da bimbi ci si riempie la testa
con “e vissero felici e contenti”,
di false speranze e odiosi intenti,
ed è forse questa
la favola più triste e mesta
che l’umanità si racconta,
di viver sempre
come d’una grazie divina
concessa!
Ma la verità è ben più amara,
agrodolce e onesta,
la felicità dura un attimo
e questo basta,
c’è chi crepa d’avarizia!

mercoledì 25 gennaio 2012

L'amore è inutile, al di fuori di quel che serve

“Perché questo amore è così agrodolce? Veramente c’è chi si cura solo di essere amato e niente più? E davvero c’è chi ama solamente quando soffre?”
“In realtà io trovo ridicoli questo genere di discorsi. L’amore? Parlerò da uno che non si è mai innamorato ma a me sembrano solo stronzate, come si fa a credere davvero di poter trovare una persona che tenga davvero a te, che sia disposto a sostenerti non importa cosa, alla fine tutti pensano solo a sé stessi. O ancora come si fa a pensare che là fuori, da qualche parte, ci sia davvero qualcuno fatto su misura per te? Mettiamo che ci possa essere, se questa persona vivesse nell’altra parte del mondo come fareste mai ad incontrarvi? No, per me rimangono solo stronzate”
“Certo tu dici così proprio perché non ti sei mai innamorato, non hai mai voluto veramente bene a qualcuno”
“Ti sbagli, quando dico di non essermi mai innamorato intendo che non mi è mai capitato con nessuno con cui ho scopato, però sì ho amato qualcuno ma mai corrisposto, forse è per questo che non credo all’amore di cui parli, in tutti i rapporti c’è qualcuno che da di più, l’equilibrio non esiste, facciamo fatica ad averlo nelle relazioni più scontate figurarsi con qualcuno con cui dovresti condividere tutto te stesso, forza e debolezze”
“Da come parli sembra che tu non ti fidi di nessuno, allora è per questo che non puoi innamorarti, se non c’è fiducia non ci può essere amore”
“Su questo hai ragione, sono fermamente convinto che non ci si possa fidare di nessuno, noi siamo essere umani e c’è così tanta irrazionalità in noi che in fin dei conti ci qualifica tutti come matti latenti in attesa di esplodere, fidarsi ciecamente di qualcuno sarebbe un gesto che andrebbe ben oltre la nostra stessa follia”
“Ma non ti senti infelice a vivere in questo stato di cose? Non ti senti morto dentro?”
“Perché dovrei? Io nella mia vita ho qualcosa da amare alla follia, qualcosa che so non mi tradirà mai, io ho l’arte, le persone vanno e vengono, lei non se ne andrà mai finché io la vorrò”
“E allora gli artisti non possono amare nessuno?”
“Non lo so, non so neanche se possa definirmi un artista, però direi che nel mio caso specifico è così, il mio cuore non è fatto per l’amore a due, non saprebbe gestirlo e non ne saprebbe godere appieno, piuttosto che dare felicità renderei infelice chiunque mi sentissi di amare e allora a quale pro? Per amare qualcuno serve coraggio e io non ne ho”
“Allora sei un vigliacco, ecco cosa sei, tu hai solo paura che se solo ti lasciassi andare chi ti trovi di fronte non ci penserebbe su due secondi a lasciarti perdere”
“Sarò anche un vigliacco, ma almeno ne sono consapevole e cerco di non danneggiare nessuno, in fondo a me la solitudine non dispiace, la trovo così confortante, sai, certe volte quando siamo io e lei e come se sentissi che l’intero mondo sia in pace, come se tutto fosse esattamente dove dovrebbe essere”
“Ahahahahahahha”
“Perché ridi? Non mi sembra di aver detto nulla di divertente”
“Rido perché pensi davvero quello che mi hai detto, hai trovato una giustificazione ai tuoi timori e questo é addirittura peggio che la paura stessa, essere spaventati non è così irrazionale come pensi, io ti ho capito, tu non ti fidi di nessuno perché ti spaventa a morte l’idea che chi ti trovi di fronte possa non essere come tu lo hai idealizzato, sei terrorizzato al solo pensiero di rimanere deluso”
“Infatti non ho negato di essere un codardo”
“Ma davvero non capisci? La paura ti avverte di un pericolo, si presuppone che tu la affronti questa paura, che ti metta in salvo, non che continui a rifuggirla ogni volta che ti si presenta davanti. In questo modo ti autocondanni ad una vita di fughe”
“Si ho capito, ma a me sta bene così”
“Quindi mi vuoi dire che non senti mai il bisogno di essere amato o di amare?”
“No questo no, sono anch’io un essere umano, però quando mi capita subito mi rifugio in ciò che mi fa stare bene e allora tutto torna alla normalità”
“Sì, sei proprio una persona banale, non credevo sai, la tua aura di mistero, i segni della “dannazione” che porti con tanta nonchalance, tutte cazzate”
“Però lo faccio con stile no?” Disse strizzando l’occhio.
“Puoi star tranquillo, lo stile non ti manca, cerca solo di lavorare sui coglioni ok?”
E un bacio unì le loro labbra.

Ad ogni donna

“Ad ogni donna”

Mia dolce Porzia, vermiglie labbra
ornano il pallido tuo viso, ondate
rosse incorniciano il tuo lucore,
ne riflettono la luce i tuoi
smeraldini sguardi. Bianca pelle
di neve dicembrina, soffice manto
del tuo splendido essere,
muoverle carezze è saggiare
ambrosia in tempo di pace,
è morire d’autunno. Venere ed
Erinne, gioia e furia, cauta ed
audace, guidi il mio avanzare,
mi accechi nel mio vagabondare,
spegni in me ogni sciocco disprezzare,
animi il mio fuoco d’amore.
Averti non è possederti,
stringerti non è trattenerti.
Io, fedele prostrato alla tua saggia
icona, tu, devota piena di fede,
mia dolce Therese.

venerdì 20 gennaio 2012

Un viaggiatore poco prima di coricarsi

La morte leggera ti sfiora il cuore, vuole abbracciare il tuo vuoto, vuole riempirlo con l’unica cosa in grado di farlo, il silenzio, il nero, l’oblio, per non sentire più il peso di questo caos informe e spietato. Trascina dentro l’anima il nulla, lo crea, lo distrugge, rompe in un silenzioso pianto, nessuno può ascoltarlo, nessuno deve comprenderlo. Misera e triste vittima del proprio amore, corre, lontano, fugge dal nulla in cui si condanna alla sofferenza. Vuota risuona ogni esortazione alla felice leggerezza, inconcludente insoddisfazione. La forza di mille titani dentro, ma non può esplodere solo soffocare e divenire la debole luce che s’oscura all’ombra della resistenza, non concedere un solo centimetro, ma piuttosto prenderne e poi scegliere, catalogare, eliminare, distinguere ore e persone, come fossero libri da riporre in uno scaffale. La teca della vita va arricchendosi di misere certezze, accortezze necessarie per lasciare libera l’anima che pene e tregue non vuole conoscere, perduta sempre tra le rose di germinanti amori interrotti da eclissi spirituali. Morti felici danzano nel cuore del mostro che stringe al petto rami di spine e fiori bianchi, rosse le lacrime bagnano speranze deturpate dal sole che acceca ed impietoso vuole attenzione. Frenesia di attimi iconoclasti, rabbia pulsante nelle vene degl’ occhi di chi muto assiste al proprio declino e urla silenziosamente alle cose, alle rocce, alla vita il suo diniego e rifiuto di accettare tutto ciò che è imperfetto. Ancora urla e grida, ancora pianti e silenzi, tutto affogato e represso dentro un misero corpo fatto di verde e di terra, la cenere sparsa su di un pavimento abbandonato al proprio invecchiare, nessun minuto che passi senza scandire la propria dipartita. Bianco buio, nero lucido, i colori fuggono nella nebbia diradando ogni luce e lasciando pietra vestita di chiara solidità, greve ruvidezza, impatti improbabili ma inevitabili con il suolo. Il marmo abbraccia ma non sorregge, scorre fluido il freddo che lo attraversa, si ferma solo per lasciar posto al contatto che non sopporta d’esser concepito. Un delirio di una povera mente avvelenata dalla sua stessa essenza, le orbite cave nutritise dei propri bulbi hanno portato con sé anche l’anima del naufrago perenne, in continua ricerca di ciò che non può essere trovato, egocentrica vittima della propria crudeltà, sadiche speranze accoltellate in vicoli interiori, spessori di niente e voluttà di morte. Sigarette metafore di esistenze prive di fuoco, si consumano e consumano attimi ributtati come fumo dalle ciminiere, i fantasmi consapevoli cercano di inspirarne il più possibile, partecipi di masochisti omicidi. Nero, colore della rosa spirituale che alta nel cielo staglia il proprio riverbero tra arcobaleni fasulli e pentoloni pieni di desideri troppo audaci, carnefici di ogni speranza sepolta nel porto di ogni uomo. Il dolore, come stigma della propria pena, porta con sé i segni della brillantezza di un essere che si divora  nell’eterno ripetersi di cicli interminabili. Un serpente si annida nel petto aspettando il momento e la vittima congeniali al proprio morso. Il lupo ulula alla luna, graffiando l’oceano in cui si specchia ed inorridisce l’astro catturando il rimorso e il rancore nascosti nel lamento del povero cristo. Maria madre della pietà, concedine e togline a chi meno ne merita, regalane ed impietosa dispensane a chi di luce deve caricare le proprie aspirazioni in rivolta contro le proprie paure. Abbi pietà farfalla dagli occhi scuri come l’ebano, per ogni carezza troppo pretenziosa che ti viene fatta, abbi pietà di tenui amori, tiepidi e laconici segreti di amanti puri, purgane la malizia ed accoglili nel tuo tiepido ventre, benedicili con la tua grazia di indulgente signora, amali fino all’ultimo ardere di ogni tempo e nei secoli stringili nella tua pioggia dispensatrice di serene utopie. Ancora il vuoto non abbandona la propria tana e lentamente distrugge ed erode tutto, lo stringe soffocandolo, ama corrompendo ogni serena ingenuità, odia sempre più odiandosi, rinnovando il proprio spirito di distruzione che germina  tra rovi e rovine di lacrime troppo a lungo nascoste ad occhi di lupi e libellule. Far fronte alla mancanza di metafore oniriche purché di sonno se ne abbia da perdere. Richieste di libere essenze, assenze quotidiane nella steppa del petto che va percorrendo ogni giorno lo stesso tragitto, il fiume che scorre ed invita ad annullare ogni desiderio ed ogni speranza si augura di annegare per porre fine ai lamenti di uno stupido cieco che si rifiuta di guardare al di là del proprio buio. Una bambina gioca lanciando scintille nell’aria, ingenua, pura, lascia che la vita le si presenti abbigliata con misteri ed inganni a cui dovrà imparare a far fronte. Il bambino le augura di saper trovare qualcuno che la possa stringere quando la notte sembra più buia, quando il sole non scalderà. Crescono intanto rampicanti sui loro corpi e sempre più li stringono, sempre più affondandoli nel terreno, dove troveranno eterni compagni al loro sonno privo di brezza. Le nubi cariche di vento e brandelli di cielo, s’addensano tra fili tessuti in crisalidi di vetro, piombo e gerani. Dove sei ora che ho perso, dove sei ora che ho vinto il mio premio all’eterno azzardo del caso, dove sei ora che sto fuggendo? Attraverso campi sconfinati, piaghe di malinconie, pieghe di attimi felici.
I piedi calpestano, le mani recidono, intanto il grano brucia spandendo nell’aria odore di crisantemi legati tra loro da lacci color dello zaffiro, gocce di belladonna e sospiri di viole donano alla composizione l’eterno mistero dello scorrere. Insoddisfatti pensieri, vittime e boia dell’uno stesso, madre e padre, colmi e grondanti di noiosi tedi, purtroppo inevitabili, da sé medesimo prodotti, da sé medesimo inestinguibili. Folli riflessi di folle bieche e straziate, agghindano specchi messi ad incenerire ogni sicurezza, ogni parola che sa di dover soccombere alla luce della verità.  Importanza che non ha nome né cuore, giace distesa sopra un letto di piume, dimentica di tutto ciò che non la confà, ride, serena, dimentica di sé e dei propri timori. Liquori, distillati dalle noiose lamentele, vengono versati per far cessare l’eco di mondi ormai sepolti sotto coltri di indifferenza, coperti con veli trasparenti. Non c’è aiuto da chiedere ne promesse da ottenere, deve solo spegnersi il furore di ore sprecate nell’angosciante attesa di una reazione, quando alla morte riesci a strappare un bacio avvolto da un tenue candore ed il vuoto impallidisce, rachitico, sfondato da certezze invisibili. E l’amore scorre nuovo, libero, non curante del fetido sussurrare d’un marcio e putrido livore.

venerdì 13 gennaio 2012

Cezànne

Allo specchio
fisso rimane l’occhio,
l’adorno feretro
il petto,
fredda prigione,
dove il compianto
giace.

Echi

Danza e tracanna, dolci veleni per la coscienza,
danza ed aspira, incensi della dimenticanza,
conosci ed impara, altrui sconosciute verità,
conosci e prova, i fiori del dolore, crisantemi d’amore.

Tra poesie ed ideologie smarrisci il tuo cuore,
Tra rose e mattoni , cerca te stesso,
Trema e non retrocedere, la paura passerà,
Ridi e non ferire, il tuo riflesso impietoso risponderà.

Il tempo è tiranno con chi per paura dell’ errore,
resta fermo a lamentare
un dolore che non può provare.
Non annegare nell’ orrore,
nell’ inquietudine di chi dalla perfezione
si lascia accecare. 

mercoledì 11 gennaio 2012

Ghiaccio in primavera

“Ghiaccio in primavera”

Sguardi come foglie autunnali,
come inganni nei viali,
cadono nella stagione
del nostro consumarci,
ricoprono il terreno di
fiori mai nati,
meglio è non provarci,
lasciare l’ardire del peccare
ai sogni di addormentati,
la realtà già castiga,
perché svegliarsi
quando la libertà è più
che viva nel coricarsi?

lunedì 9 gennaio 2012

Gran galà

“ Gran Galà”

Eccoci all’ingresso; imbellettati
dai migliori pregiudizi disponibili,
occhi di ceramica segnati da urti
precedenti le formazioni
di canoni risibili.
Acquistato il biglietto da
un’anziana signora, affaccendata
a raccoglier foglie colorate
di trapasso, ci si sposta verso
l’atrio, scolpito a mo di ventre
femminile, giustamente predisposto
all’accoglienza.
Teste sospinte con urgenza
dal desiderio d’assistere immobili
all’alternarsi di tragedie o commedie,
codardamente lasciate ad essere
impersonate da altri;
a chi ha il cuore di sostenere
il peso delle proprie affermazioni.
Ecco il palco, il sipario ancora
calato, d’un rosso tinto che
ricorda il copioso riversamento
d’una ferita inferta
dall’offensiva d’un duello,
latente nella vicina lontananza
d’ogni spettatore al proprio
vicino. Alcuni pensano “Oh tutte
persone bene educate, siedono
silenziose al proprio posto”
E intanto gli attori fremono
nella pendenza del pubblico
giudizio, che non s’accorgano
di possibili errori o ancor
peggio, d’artifizi d’esibizione.
Finita la rappresentazione,
la mandria d’astanti si trascina
all’uscita, compiaciuta del
proprio immedesimarsi senza
attiva partecipazione, come
d’un festeggiato ad un funerale.

UCuaglianza

“Ucuaglianza”

O io ti disprezzo, fratello,
tu devi condividere,
come me è giusto vivere,
non capisci la virtù
del mio sopravvivere?
Ecco accomodati nel mio
consenso, ora t’illustro
ora ti svelo
ora ti accetto,
ammira la vuota bellezza
del mio concetto,
il vitreo rispetto
del mio pensare,
fai tuo un po’ di me,
che ho voglia
di intravedermi in te,
e di questo voglio
cullare le mie certezze
volitive come rudi brezze,
vedrai, per i tuoi timori
ho giuste pezze,
ho fuochi per i tuoi bui,
lascia che sia la tua
guida
il tuo giuda,
il mio riflesso,
Narciso, piacere,
ho da confessare
che di tatto
un po’ difetto,
lo sai, condividerai,
nessuno in fondo,
è perfetto.

Timide aspirazioni

“Timide aspirazioni”

Mentre il mondo va a puttane, mentre
altri spacciano anestetici di facile
consumo e ipocrisie da buon cristiano,
tutti piangono ma nessuno comprende,
sarebbe facile,
sarebbe facile,
come non aver nulla da perdere
se non altro che orgoglio immondo,
dare più che carità, più che pietà,
accettare la fallibilità e fregarsene,
continuare ad amare come se mai
s’avesse avuto un cuore sanguinante.
Che dal bene non nasce altro che bene
e che l’amore non è la commozione
di un attimo, ma un desiderio
di miglioramento che
brucia il denaro.

L' equipaggio del battello ebbro

“L’equipaggio del battello Ebbro”

Voluttuosità di fumo, nei cieli
grigi in corsi di fiumi, vortici
acquatici, pensieri nostalgici
di ebbrezze andate, con amicizie
dimenticate e vite ritrovate.
Violente sferzate di risa
caricano il cuore, nella libertà
dell’abbandono, lo rendono
leggero e desideroso di
bene, che tanto manca al
viaggio degli uomini, stipati
in vascelli vagabondi, viaggiando
verso Veneri e chimere,
naufraghi dentro sé stessi,
da morali ed ordini oppressi.

A rivederla caro/a

Eccomi qua, ho voluto provare a creare un blog non sentendone minimamente la necessità, proprio come da titolo mi chiedo se servirà a qualcosa, a cosa? Partiamo con ordine, sono un 23enne Cesenate con l'abitudine della scrittura, da bravo ragazzetto con dei sogni nel cassetto mi piacerebbe riuscire a veder un giorno pubblicato quello che scrivo, non tanto per gioia auto celebrativa (Il mio ego soffre di megalomania, non saprebbe che farsene della gloria, anche se a certi potrebbe mancare più dell' aria..!) ma per un bisogno mio di comunicare la mia visione delle cose, nel bene e nel male.
In realtà sono abbastanza restio ad utilizzare questi tipi di piattaforme, non so, ma mi danno l'idea di essere molto pericolose se non utilizzate con consapevolezza, oltretutto se prendono troppo piede rischiano di concedere all'autore una sorta di autorevolezza che potrebbe trasformarsi in una strana forma di dispotismo sanguinario (Per quel che mi riguarda sono uno da Pace&Amore), insomma non mi fido molto.
L'idea è nata parlando con un'amica, lei mi fa "Perché non provi a mettere su un blog?" e io "Ma neanche per sogno, non mi piace l'idea di mettere quello che scrivo così in bella mostra alla mercé di tutti, sono un intimista io!" e lei mi risponde "Ma scusa non sarebbe un po' come pubblicare?". Ho mugugnato qualcosa e infine ho sviato il discorso, il mio orgoglio può essere molto orgoglioso a volte.
E insomma, infine tutta questa tiritera per dire che metterò qualcosa di mia produzione qui sopra e vediamo cosa succede, sempre se succede! Buona lettura :)