“ Gran Galà”
Eccoci all’ingresso; imbellettati
dai migliori pregiudizi disponibili,
occhi di ceramica segnati da urti
precedenti le formazioni
di canoni risibili.
Acquistato il biglietto da
un’anziana signora, affaccendata
a raccoglier foglie colorate
di trapasso, ci si sposta verso
l’atrio, scolpito a mo di ventre
femminile, giustamente predisposto
all’accoglienza.
Teste sospinte con urgenza
dal desiderio d’assistere immobili
all’alternarsi di tragedie o commedie,
codardamente lasciate ad essere
impersonate da altri;
a chi ha il cuore di sostenere
il peso delle proprie affermazioni.
Ecco il palco, il sipario ancora
calato, d’un rosso tinto che
ricorda il copioso riversamento
d’una ferita inferta
dall’offensiva d’un duello,
latente nella vicina lontananza
d’ogni spettatore al proprio
vicino. Alcuni pensano “Oh tutte
persone bene educate, siedono
silenziose al proprio posto”
E intanto gli attori fremono
nella pendenza del pubblico
giudizio, che non s’accorgano
di possibili errori o ancor
peggio, d’artifizi d’esibizione.
Finita la rappresentazione,
la mandria d’astanti si trascina
all’uscita, compiaciuta del
proprio immedesimarsi senza
attiva partecipazione, come
d’un festeggiato ad un funerale.
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